Nell’incontro organizzato da Tecnest, l’autore e consulente Massimo Folador ha fornito spunti e riflessioni tratti dalla Sapienza della tradizione, per un’etica imprenditoriale nuova.
Crisi, incertezza, complessità, sfide, opportunità, cambiamento. Ormai sono anni che se ne parla, ma la sensazione diffusa, nelle imprese e negli individui, resta quella di smarrimento e di frustrazione.
Se pensiamo al mondo dell’impresa, ogni giorno imprenditori, manager e collaboratori si affannano per mantenere la propria competitività sul mercato, raggiungere gli obiettivi economici e mantenere il proprio “benessere”, nonostante il contesto di incertezza e difficoltà. Ma spesso questo porta a “frutti immaturi”: risultati economici non soddisfacenti e persone sempre più stanche.
Forse c’è qualcosa che non va. Forse i modelli, i valori e anche gli stessi obiettivi che hanno dominato il mondo dell’economia finora, vanno rivisti e ripensati in un’ottica nuova.
Fare impresa in maniera diversa è possibile?
Si è parlato proprio di questo giovedì 7 maggio a Tavagnacco durante l’evento organizzato presso la propria sede da Tecnest, azienda specializzata in soluzioni software per la gestione della produzione e della supply chain, in collaborazione con l’associazione Animaimpresa e con il patrocinio di Confindustria Udine.
“Un’impresa possibile” è il titolo dell’ultimo libro di Massimo Folador, consulente, formatore e autore del bestseller "L'Organizzazione Perfetta, che nel corso dell’evento ha regalato al numeroso pubblico di imprenditori, manager e professionisti presente, interessanti spunti e riflessioni che possono essere le premesse per un’etica imprenditoriale nuova.
Aprendo la propria presentazione con l’etimologia della parola Krisis e partendo dal concetto di crisi come momento di cambiamento e opportunità, Folador ha sottolineato come il nostro attuale modello di Ben-essere in realtà non sia altro che un Ben-avere, orientato all’accumulo di cose senza un particolare fine. Un modello che ci ha reso “viandanti” o, ancor peggio, “turisti” alla ricerca di un comfort che non rappresenta un piacere ma, piuttosto, il mantenimento di uno status-quo che non porta da nessuna parte.
Partendo dalla Sapienza ereditata dalla tradizione, analizzando il senso delle parole, raccogliendo i contributi di importanti pensatori, filosofi e monaci benedettini e confrontandoli con esperienze concrete, Folador ha ripercorso i capitoli del suo libro, suscitando riflessioni e toccando temi quali la gestione del talento, l’importanza dell’ascolto, delle relazioni, del lavoro.
“La complessità del mercato ci costringe all’eccellenza ad ogni costo e in tutti i campi, è necessario quindi rimettere al centro i talenti delle persone, con strumenti e metodi concreti all’interno delle organizzazioni” ha affermato Folador.
E tra gli strumenti a disposizione diventa fondamentale l’ascolto e la condivisione con tutti coloro che compongono una comunità o un’organizzazione. Ce lo insegna San Benedetto che, nella Regola, esorta così l’abbate: “Ogni volta che in monastero si devono trattare cose di importanza, l’abate raduni tutta la comunità ed esponga egli stesso di che si tratta. E udito il parere dei fratelli, consideri dentro di sé la cosa e faccia quel che gli sembrerà più utile. Abbiamo detto di chiamare tutti a consiglio, perché il Signore ispira al più giovane il partito migliore”.
“Dobbiamo imparare a riconoscere che nelle imprese e nelle organizzazioni il capitale materiale, tangibile, sta perdendo valore a discapito dell’emergere dell’importanza di due asset intangibili” – ha spiegato Folador – “il capitale umano, costituito dall’insieme di idee, abilità, conoscenze, talenti interni ad un’organizzazione, e il capitale relazionale, costituito dalle relazioni interpersonali che si basano sulla fiducia e regolano i rapporti dell’impresa con i propri stakeholder interni ed esterni”.
Riprendendo il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Folador ha infine posto l’accento sulla centralità del lavoro come forma di dignità, di bellezza e di piacere. Perché forse il vero benessere non viene dalle cose ma dal costruire qualcosa, dall’arrivare a una meta, anche con fatica, condividendo con gli altri gioie e dolori.
Un modello d’impresa, quindi, ispirato da nuovi valori che, definendo prassi, regole e competenze, orienta il lavoro di organizzazioni e persone verso un nuovo fine: il Bene Comune.
Per abbandonare il ruolo di viandanti e diventare pellegrini in viaggio, assieme, verso una nuova meta.
Articolo di Veronica Peressotti pubblicato su Realtà Industriale di Maggio 2015. Scarica e leggi l'articolo
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